Apologia della grammatica (ma non del grammar nazi)

La grammatica ha senso di esistere?

Ma alla fine, se la lingua si evolve, i neologismi sono qualcosa di naturale, il latino è nato, cresciuto, ma poi è anche morto, le lingue, vicine e lontane, entrano in contatto e si influenzano a vicenda… hanno senso quelle rigide regole grammaticali che studiamo a scuola?

Non per smorzare subito il vostro entusiasmo (vi vedo, cari studenti, che state già per lanciare la grammatica dalla finestra) ma sì, sappiate che hanno senso. Prima però di tornare sconsolati a ripetere coniugazioni di verbi con l’idea che tanto non vi serviranno a niente, lasciate che vi racconti una storia.

Era la seconda metà dell’Ottocento, le città europee brulicavano di vita, le carrozze di nobili e alti borghesi solcavano le strade lastricate, gli operai camminavano stanchi rientrando a casa dalla fabbrica, i bambini si rincorrevano tra i vicoli. Un giorno, però, qualcosa arrivò a turbare quella quotidianità: l’automobile. All’inizio era qualcosa di raro, un’eccezione. Solo in pochissimi l’avevano e la usavano di rado. Le strade erano sempre le stesse, solo che ogni tanto qualcosa di diverso le attraversava, ma non c’era certo bisogno di allarmarsi: tutto procedeva come sempre. E mentre i ragazzi di città sbirciavano dai balconi i ricconi che si muovevano su quella strana carrozza senza cavalli, i coetanei di campagna neanche sapevano della sua esistenza.
Giunse poi il Novecento e con il nuovo secolo anche la diffusione dell’automobile. Col passare dei decenni ogni famiglia poté acquistarne una e non solo: camion, pullman, moto e motorini affollarono le vie. Le strade erano davvero diverse rispetto a quelle di metà Ottocento e continuare a comportarsi come se gli unici grandi mezzi fossero le carrozze (ormai scomparse!) non avrebbe fatto altro che creare confusione e incidenti. La soluzione? Modificare le regole di circolazione. Certo, prima non avrebbe avuto senso un divieto di accesso ai mezzi pesanti, un limite di velocità ai 90 km/h o un semaforo.
Ma ecco che, inaspettatamente, queste regole diventano indispensabili.

Il codice della strada per la nostra comunicazione

Ecco dunque a cosa servono le regole grammaticali: sono il codice della strada che ci permette di evitare incidenti nella comunicazione.

Attenzione però a non far l’errore di credere che i grammatici prima si inventino le regole e poi la lingua si debba adattare a queste: è proprio il contrario! Così come per inventare divieti e obblighi per le automobili si è dovuto attendere la loro diffusione, così per definire le regole della grammatica di una lingua bisogna prima osservare come essa funziona. 

Dunque è vero, la grammatica nel tempo cambierà insieme alla lingua, ma non per questo non dovremmo conoscerla e studiarla: nel nostro presente ci è assolutamente indispensabile per sapere come muoverci in sicurezza tra le vie della comunicazione.

Quindi tutti grammar nazi?

E quindi i grammar nazi hanno ragione! E giusto correggere un errore, bisogna rispettare le regole! Altrimenti ne va della corretta comunicazione!

Bene, prima di commentare questo pensiero lasciate che vi racconti un’altra storia.

La strada è affollata, l’istruttore di guida fa segno al neodiciottenne che può parcheggiare poco più avanti. Il ragazzo, piuttosto impacciato, si avvicina alle strisce bianche per prendere le misure, ma dopo due manovre capisce di essere troppo lontano. Riprova e ora è troppo vicino. L’istruttore, con pazienza, ma anche qualche rimprovero, gli dà dei consigli e non lo lascia andare via finché il parcheggio non è perfetto e più tardi, conclusa la giornata lavorativa, esce per un po’ di meritato riposto con gli amici. Oggi non guida lui, ma quando scende dall’auto, davanti al locale, nota che l’amico ha parcheggiato male, ha un bel pezzo di auto e una ruota fuori dalle righe bianche. Un rapido sguardo attorno per controllare la situazione: il piazzale è quasi vuoto, l’auto non preclude il parcheggio a nessuno. Allora si volta senza dire nulla. Lo sa bene che gli amici sono sempre un po’ in ansia quando devono guidare con lui e non c’è bisogno di fare il pignolo in quel momento. Un terzo amico però si accorge della cosa e non perde tempo a prendere in giro bonariamente l’autista: “Mi sa che devi tornare a fare qualche lezione a scuola-guida se parcheggi così, caro mio!” Una risata generale, qualche imprecazione leggera da parte dell’autista e si entra nel locale. La serata passa in fretta e arriva l’ora di rientrare a casa. Nel parcheggio un passante, uno sconosciuto, li vede avvicinarsi all’auto e non si trattiene: “Ma chi le ha dato la patente? Le sembra il modo di parcheggiare?” Non passa un secondo che l’uomo si sente apostrofare con dei tutt’altro che amichevoli “Ma chi si crede lei?!” “Ma si faccia gli affari suoi!” dagli amici dell’autista e se ne va brontolando. Poi, una volta saliti in auto, il ragazzo alla guida si rivolge all’amico istruttore: “Comunque un giorno mi dai qualche dritta su come fare i parcheggi? Non ho mai imparato bene!”.

La morale è sempre quella: dipende.

Quindi sì, la grammatica è importante, ma capire quando correggerla lo è ancora di più. Possiamo accettarlo da un amico se lo fa nel giusto modo o se siamo noi a chiedere aiuto. Sicuramente dobbiamo accettarlo se il nostro errore è tale da precludere la riuscita della comunicazione e dobbiamo pretenderlo da una figura professionale che ha il compito di correggerci. Il problema del grammar nazi da tastiera, però, è che nella nostra storiella ha la parte dello sconosciuto, è quello che, senza domandarsi nulla riguardo al contesto, corregge a spada tratta la grammatica solo per dimostrarsi un vero paladino dell’italiano. Ma non è così che funziona la comunicazione.

Le norme grammaticali che studiamo a scuola sono, dopotutto, una convenzione e hanno dei risvolti anche nei rapporti sociali. Se infatti ci sembra socialmente inaccettabile che un professore universitario durante una lezione sbagli un congiuntivo, è altrettanto socialmente inaccettabile che in una serata tra amici al ristorante uno dei commensali interrompa il discorso per correggere lo stesso congiuntivo a quello che sta raccontando con enfasi un aneddoto divertente.

E il prof. magari non rischia la carriera per un congiuntivo, ma l’amico sicuramente rischia di non essere invitato di nuovo a cena!

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