I ragazzi conoscono solo 300 parole? – Riflessioni su lingua italiana, giovani, affermazioni azzardate e citazioni

È notizia di non molto tempo fa che le prove invalsi svolte durante l’anno nelle scuole abbiano evidenziato una difficoltà non trascurabile degli studenti nella comprensione del testo. Una notizia non certo rassicurante e su cui si potrebbero aprire mille discussioni, ma non è questo il momento. Ciò che ha attirato la mia attenzione è un’immagine che, sull’onda del #igiovaninonsannoleggere, ha ripreso a girare sui social in questi giorni e che riporta la fotografia di un testo. Eccola qua.

Preoccupante vero? Fa riflettere molto sulla nostra società. Ma ci sono un paio di problemi: prima di tutto l’affermazione non mi convince; e in secondo luogo è piuttosto difficile verificarne l’attendibilità. Parliamone, partendo dal secondo punto.

Citazioni e aforismi, belli ma…

Di citazioni e aforismi è pieno il web; a volte sono testi virgolettati che fungono da didascalia a qualche immagine, altre sono fotografie scattate ad una pagina stampata, come quella di cui stiamo parlando. Sono d’effetto, a volte fanno sognare, altre riflettere, ci sono quelli che criticano la società, quelli che infondono fiducia in sé stessi, insomma, ce n’è per tutti i gusti. E che fastidio possono dare? Nessuno, se è riportato l’autore e magari anche l’opera (perché se uno ha scritto centinaia di libri nella sua vita è difficile leggerli tutti per risalire ad un’unica frase!). Ma spesso, spessissimo, questo non è fatto. E l’immagine oggetto del nostro discorso ne è una dimostrazione. Su Instagram e Facebook, dove l’ho trovata più volte, non ho mai visto un riferimento all’autore o all’opera. E quindi, come facciamo? Armiamoci di pazienza e facciamo un po’ di ricerca sui punti poco chiari.

Il soggetto di “ricordo” è, a quanto pare, Umberto Galimberti, noto psicologo e sociologo italiano. Ho trovato il riferimento, oltre che in vari siti web, nel libro Creare relazioni autentiche. Nutrire il cuore con i frutti dell’albero della gentilezza di Anna Maria Palma e Lorenzo Canuti, i quali riportano il testo attribuendolo appunto a Galimberti. Se questa prima ricerca è stata tutto sommato facile (nonostante io non sia riuscita in realtà a risalire alla fonte primaria), capire a quale studio di De Mauro si faccia riferimento è invece piuttosto complesso perché il grande linguista sta tra quegli autori che, come dicevo prima, hanno prodotto una quantità enorme di libri e articoli. Quello che posso dirvi è che non ho trovato riferimenti ad uno studio del genere e che in ogni caso dubito che esso abbia portato ai risultati proposti da Galimberti, non in questi termini almeno. Se qualcuno dei lettori avesse un riferimento più puntuale, chiedo gentilmente di scriverlo nei commenti, sarebbe un grande contributo a questa mia piccola ricerca.

I giovani d’oggi conoscono davvero solo 300 parole?

Ora però tocca a me dimostrarvi perché questa affermazione mi suonava strana fin dal principio (di ciò che sto per raccontarvi trovate i riferimenti in fondo all’articolo).
Vi faccio prima una domanda: secondo voi quante sono 300 parole? Tante? Poche? Quante ne dovrebbe conoscere un adulto mediamente istruito? E un ragazzo delle scuole superiori con una buona cultura?
Cari lettori, 300 parole sono poche, pochissime. Ma non così poche da dare un segnale allarmante sulla conoscenza del lessico italiano da parte dei giovani. Sono così poche da rappresentare un numero inverosimile. Così come 700 o 1600.

Proprio Tullio De Mauro nella sua lunga carriera di linguista ha compilato il vocabolario di base dell’italiano (VdB), cioè l’insieme dei vocaboli che sono meglio padroneggiati e usati dai parlanti; esso si divide in lessico fondamentale (2000 vocaboli circa), lessico di alto uso (3000 vocaboli circa) e lessico di alta disponibilità (2500 vocaboli circa). Totale: circa 7500 parole. E sono solo quelle conteggiate nel vocabolario di base, il pacchetto entry level del parlante, quelle di cui nessuno può fare a meno se vuole comunicare.
Ma quando si imparano queste parole? Per rispondere, ecco qualche riga tratta da Guida alluso delle parole, sempre del nostro De Mauro:

“Negli esseri umani la prima parola fa la sua comparsa verso i dieci mesi. Le femmine precedono i maschi di circa un mese. Verso la metà del secondo anno di vita le parole usate sono una ventina. A questo punto si ha, di solito, un’improvvisa crescita: a venti mesi il bambino conosce circa cento parole, a ventiquattro trecento, un anno più tardi, a tre anni, ne conosce circa mille.”

Allora, se a tre anni un bambino padroneggia mille parole, come può essere verosimile che arrivato alle scuole superiori ne conosca solo qualche centinaio? Probabilmente trecento parole non ci basterebbero neanche per andare a fare la spesa.

Aggiungiamo poi che non sono certo la prima a dubitare dell’affermazione di Galimberti. Leggete cosa si trova in Linguaggio, mente, parole. Dall’infanzia all’adolescenza:

“Un grande giornale, “La Repubblica”, tempo fa ha pubblicato senza battere ciglio un articolo di Umberto Galimberti, valente psicologo […] ma assolutamente, virginalmente, puerilmente ignaro di rudimenti di linguistica: con aria autorevole Galimberti ha comunicato che gli adolescenti italiani d’oggi conoscono soltanto circa seicento parole.”

Mi sento libera di concludere quindi che l’affermazione di Galimberti non ha basi su cui reggersi, smentita dalle parole dello stesso studioso che ha citato per supportare la sua tesi.

Quindi tutto bene con la lingua italiana e i giovani?

Con questo non deve passare l’idea che allora non esista alcun problema sulla questione dei giovani e della comprensione dei testi. Le prove invalsi, con tutti i loro limiti, sono un campanello d’allarme importante e ci fanno capire che di lavoro sui nostri ragazzi ce n’è parecchio da fare. D’altra parte, però, la lingua non è solo lessico e anzi le difficoltà legate alla comprensione del testo spesso sono da imputare solo in minima parte alle parole non conosciute. Come sempre, la realtà è più complessa di quello che sembra.

Ma che tutto questo ci serva per riflettere su noi stessi: siamo davvero nella posizione di poterci lamentarci dell’ignoranza dei giovani se lo facciamo condividendo citazioni di dubbia attendibilità senza verificare i contenuti né riportare alcuna fonte?


Qualche riferimento utile

Su Internazionale è disponibile l’ultima versione del Nuovo vocabolario di base della lingua italiana curato da De Mauro.

Sull’affermazione di cui abbiamo parlato ha scritto anche Fanpage in questo articolo. Rispetto a ciò che ho detto io si fa riferimento anche al libro di Galimberti La parola ai giovani: dialogo con la generazione del nichilismo attivo, sul quale dovrebbe essere riportato il testo che abbiamo letto. Non sono riuscita a verificare ciò, ma ho trovato, come vi dicevo, il riferimento nel libro Creare relazioni autentiche. Nutrire il cuore con i frutti dell’albero della gentilezza, consultabile su google libri.

Le due citazioni che trovate in questo articolo provengono, rispettivamente da:
– De Mauro, Guida all’uso delle parole, Roma, Editori riuniti, 1980.
– Tempesta, Maggio (a cura di), “Linguaggio, mente, parole. Dall’infanzia all’adolescenza”, FrancoAngeli, Milano, 2006

Se volete approfondire l’argomento della lingua italiana a scuola vi consiglio questi libri:
– Benedetti, Serianni, Scritti sui banchi. L’italiano a scuola tra alunni e insegnanti, Roma, Carocci, 2009.
– De Mauro, L’italiano per capire e per studiare (relazione introduttiva) in: Colombo, A. e Pallotti, G. (a cura di), L’italiano per capire, Roma, Aracne editrice, 2014.
– Della Casa, La comprensione dei testi. Modelli e proposte per l’insegnamento, Milano, Ed. Franco Angeli, 1991.
– Ruggiano, L’italiano scritto a scuola, Roma, Aracne edizioni, 2011.

9 risposte a "I ragazzi conoscono solo 300 parole? – Riflessioni su lingua italiana, giovani, affermazioni azzardate e citazioni"

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  1. Uno dei tanti problemi che la rete ha causato è stato proprio il fatto di abituare le persone ad avere “il piatto servito”; molti, infatti, inghiottono “notizie” senza chiedersi da dove esse provengano o chi le abbia scritte. Non per niente siamo nell’epoca delle così dette “bufale”. Ottimo articolo.

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    1. Verissimo, e penso che il problema nasca in realtà ancora prima del web, ma che si stia manifestando in questi termini solo ora. La tv o i libri infatti hanno sempre fornito informazioni di cui l’utente non dubitava, non controllava fonti e veridicità, ma d’altra parte il prodotto era già controllato (il più delle volte) in partenza e non c’era bisogno che l’utente dubitasse. Con il web l’utente ha continuato ad utilizzare lo stesso atteggiamento di fiducia, senza capire che dal momento che chiunque può dire ciò che vuole senza filtri bisogna stare molto più attenti nel valutare e selezionare le informazioni che si ricevono.

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  2. Complimenti per questa demistificazione di una bufala socio-giornalistica che circola spesso in modo acritico e assurdo. Tra l’altro quando si parla di “conoscenza” delle parole bisognerebbe almeno distinguere quelle che si usano attivamente (tra queste appunto le oltre 7000 del vocabolario di base) e quelle che comunque si comprendono anche se non si usano, o il cui significato magari non immediato si ricava dal contesto del discorso, il che porta a ordini di grandezza ben superiori. Occupandomi di anglicismi, ti posso assicurare che le giovani generazioni ne conoscono e usano di sicuro più di 300 (130 inclusi nel vocabolario di base 2016), quindi già l’uso di parole inglesi saturerebbe le affermazioni infondate dell’articolo in questione. Il che non significa che le nuove generazioni non abbiano qualche problemino di lessico molto limitato o di analfabetismo funzionale che, uscendo dal lessico, implica difficoltà nella comprensione di un testo. Ma anche questo atteggiamento per cui le nuove generazioni sono ignoranti, e che la scuola non è più quella di una vlta, è un mito da sfatare, perché si sente da sempre. L’accesso di massa all’università è avvenuto tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60, prima era un fenomeno di pochi, e questo accesso ha portato ai primi lamenti sulla decadenza. Poi con il ’68 e i “voti politici” sono nate le prese di posizioni per cui i lauraeti di quelle generazioni non erano più come prima… Negli anni ’80 quando ero al liceo, mi sono sentito dire le stesse cose rivolte alla mia generazione, e in un libro del 1988 (Italiano, Garzanti) Gian Luigi Beccaria scriveva: “Ci si lamenta che le nuove generazioni governano periodi con minore disinvoltura delle precedenti, maneggiano con scarsa disinvoltura la lngua, conoscono poche parole.” Le conclusioni erano che non si leggeva più e che la cultura dell’epoca televisiva era orale (negli anni ’70 si parlava anche della morte del libro). Poi con l’esposione della Rete in un primo momento fu la riaffermazione dello scritto,un fatto che nessuno si sarebbe mai aspettato. Naturalmente, quando scrivono tutti, il livello si abbassa, ma comunque in questi giudizi generazionali intrisi di moralismo bacchettone si dimenticano tante cose. Si dimentica che l’italiano parlato non ha nemmeno 100 anni, si è diffuso con la radio, il cinema e la tv, prima non era un patrimonio nazionale, e si parlavano i dialetti. Si dimentica che un secolo fa, durante la Grande guerra l’analfabetismo o il semianalfabetismo erano la norma, basta leggere i tanti libri con le lettere dal fronte. Si confonde la “cultura” intesa falsamanete come ciò che tutti dovrebbero sapere, con la cultura generazionale: sicuramente i giovani, di ogni epoca, ignorano molte cose che per le generazioni precedenti sono scontate solo perché le anno vissute in prima persona, e si dimentica che sanno molto più di altre cose, anche se magari le bolliamo come inezie o come informazioni non rilevanti e che non fanno parte della cultura alta. Si dimentica infine, che è normale che un ventenne abbia una cultura linitata o abbia letto pochi libri, semplicemente perché è giovane, e che la cultura e la lingua sono un processo che si continua ad apprendere nel corso della vita, giorno dopo giorno, e forse chi scrive e sostiene queste cose ha dimenticato come era a 20 anni, dando per scontato di essere migliore.

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    1. Ti ringrazio per la tua interessante analisi della situazione e non posso che sottoscrivere ogni parola. Non è certo mia intenzione negare che ci siano problemi tra i giovani e la conoscenza della loro lingua madre, sono un’insegnante e mi rendo conto quotidianamente di tutto il lavoro che c’è da fare e che nonostante gli sforzi a volte non riesce ad essere sufficiente. Ma, come dici tu, la lamentela verso i giovani è troppo spesso legata ad una visione miope della situazione, una visione che si dimentica che se ora ci sono mille problemi, forse prima ce n’erano anche di più. Purtroppo è molto diffusa l’idea che la lingua sia qualcosa di statico, che la regola sia sempre stata quella e sempre sarà, che le parole non cambino mai e guai a far entrare nel vocabolario il lessico straniero. Ma è un pensiero che non appena si guarda un po’ più in là, studiando anche solo le basi di linguistica storica, perde ogni fondamento.

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